Formaggio a New York

Adoro il formaggio. Ricordo che da studente di dottorato nei primi anni ‘90 a Berkeley per riuscire a trovare dei buoni formagg dovevo recarmi in un negozio specializzato in prodotti gastronomici di tutto il mondo, e così riuscivo a comprare (e non a buon mercato) un buon pezzo di Parmigiano con cui tirare avanti per qualche settimana. Negli USA i formaggi sono sempre stati fortemente sconsigliati da molti medici e nutrizionisti, per il loro contenuto di grassi saturi (mentre guai a parlare male del consumo eccessivo di carne ad esempio: paradossi del nutrizionismo strabico…)
Con gli anni però le cose sono un po’ cambiate. I formaggi sono sempre sconsigliati e addirittura per alcuni formaggi a latte crudo è vietata l’importazione per paura di possibili conseguenze sanitarie, ma è comunque cresciuto il numero di persone che apprezzano questa multiforme categoria di derivati del latte. Non mi ha stupito quindi, nella miarecente fugace visita a New York di cui vi ho già accennato, scoprire in vari negozi una gran varietà di formaggi.
Entriamo ad esempio in un market della catena Fairway,
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Il banco dei formaggi è il primo che incontriamo dopo l’entrata (cliccate per ingrandire e leggere i cartellini)
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Potete vedere del pecorino toscano, del pecorino “de” fossa (sic :-) ) ma anche formaggi spagnoli e francesi.
Il Parmigiano ha uno stand tutto suo
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ma lì a fianco troviamo anche del “domestic parmesan” (a occhio stagionato pochissimo quindi niente a che vedere con the real thing!)
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Usciamo da Fairway ed entriamo da Zabar’s (vi ricordate? ero andato a far colazione). Anche qui i formaggi ci accolgono subito (clic per ingrandire)
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Mi sembra decisamente meglio fornito del precedente: troviamo asiago, taleggio, provolone, gorgonzola, fiore sardo e tante altre cose. “Vento d’estate (Veneto)” però sinceramente non so che cosa sia. Qualcuno lo conosce? EDIT: Andrea nei commenti mi informa che è un formaggio prodotto  in provincia di Treviso. E “Il Riccio (Lombardy)”? Non è infrequente trovare in USA dei presunti prodotti italiani, o comunque dal nome italiano, l’italian sounding, che però sono sconosciuti qui da noi.
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Esistono anche negozi totalmente specializzati in formaggio ma, per un italiano, di difficile classificazione: si può entrare a far colazione o pranzare ma il tema principale sono i formaggi, che oltre ad essere venduti sono anche preparati nel laboratorio interno, diviso da una vetrata
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Qui hanno appena finito di preparare quella che sembra una specie di ricotta, il tutto visibile mentre si è seduti al tavolino a fare colazione: il cheesemaking come attrazione.
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E si possono acquistare libri sul formaggio, ma anche piccoli kit per il “fai da te”
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A proposito, vi ricordo che nel numero di Marzo di Le Scienze, ora in edicola, c’è un mio articolo sul “mascarpone fai da te”, per chi si volesse cimentare :-)
Gli americani non si limitano a importarli i formaggi, ma stanno anche imparando a farli: qui sotto vedete un “Oregonzola”, proveniente dall’Oregon
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Solitamente gli italiani snobbano questi ”innumerevoli tentativi di imitazione”, come per la famosa rivista di enigmistica. Io però non sottostimerei il fenomeno: con i microorganismi adatti (si comprano senza problemi), il latte adatto, le condizioni ottimali, e le opportune conoscenze non c’è nulla che impedisca di produrre dell’ottimo Gorgonzola in Oregon, o dell’eccellente Parmigiano in Cina. Nulla. Per i formaggi (e i salumi) potrà accadere quello che è successo con i vitigni “internazionali”, e non sarà certo un burocratico marchio DOP a impedirlo. Conosco le obiezioni: manca il “terroir”, il legame con il territorio, la cultura, le tradizioni. Ma perché, a chi compra parmesan invecchiato un anno prodotto nello stato di New York interessa il legame con il territorio e la tradizione? Comprano il prodotto, non le suggestioni romantiche. Dategliene uno buono, stagionato due anni ma prodotto in USA, e non avrà più motivo di comprare quello italiano. Succederà. L’unica incognita è su chi lo produrrà: una azienda italiana che impianta la produzione in USA di un buon “parmesan”  o l’analogo caseario di Starbucks? E’ chiaro che questo è solo un esempio: se non sarà il parmigiano potrà essere il prosciutto crudo o altro.
Certo, ci sarà sempre chi apprezzerà il Bettelmatt, e distinguerà l’acquisto anche in base alla malga di provenienza (io lo faccio), ma se la qualità di quelle che ora classifichiamo come “imitazioni” continuerà ad aumentare succederà forse quello che è già successo con altri prodotti “italiani di origine” ma diffusi capillarmente nel mondo non certo da italiani (vorrei ricordare il caffè espresso e il cappuccino  con il fenomeno di Starbucks, comunque uno lo giudichi, o la pizza con le innumerevoli catene in tutto il mondo. Nessuna italiana! Sta accadendo per l’olio extravergine di oliva. Vogliamo parlare dell’inesistenza sulla scena mondiale del pane italiano nelle sue molteplici incarnazioni? “Artigianale” è bello, ma fino ad un certo punto. Nel gelato, altro prodotto di cui dobbiamo andare orgogliosi, qualcosa si muove, soprattutto grazie a Grom, che però proprio per la sua struttura necessariamente semiindustriale, con semilavorati, è spesso criticato dai gastropuritani nostrani dell’artigianale a tutti i costi. Ci torneremo su)
Facciamo ora un salto nel tempio della gastronomia italiana a NY: Eataly, sulla quinta strada
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Qui trovo anche del Parmigiano Vacche Rosse
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Certo, sono 28$ alla libbra. Settimana scorsa ho acquistato due pezzi di Vacche Rosse al vicino supermercato Auchan a 23 euro al kg. Ma questa è New York, e Eataly fa soldi a palate.
E’ tempo di pranzare, e visto che sono qui mi siedo in uno degli innumerevoli ristorantini interni. Mi tengo leggero con un panino (con formaggio di capra) e una zuppa, entrambi buoni.
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L’acqua, del rubinetto, è gratuita, come ovunque in USA. Se provate a chiederla in un ristorante in Italia vi fanno sentire dei barboni, così come (spesso) se osate chiedere del vino al bicchiere.
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Il fenomeno che vi illustravo prima lo si vede bene da Eataly: il megastore non vende solo prodotti italiani importati dall’italia, ma anche buoni prodotti, come dire, di “stampo” italiano ma prodotti localmente dai migliori produttori. O pensate davvero che la mozzarella buona la possiamo fare solo in Italia? Che ci sia qualche cosa nell’aria italiana che renda impossibile replicare i nostri prodotti all’estero? Su, scendiamo dal pero…
Non stupisce quindi che nel banco delle carni si trovi della carne piemontese
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Solo che “piemontese” si riferisce alla razza di vacche, perché l’ottimo filetto proviene da un animale, di razza piemontese, allevato in un ranch di Miles City, nel Montana.

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