La Storia Del Pomodoro



Pomodori































La scoperta del pomodoro ha rappresentato, nella storia dell’alimentazione, quello che, per lo sviluppo della coscienza sociale, è stata la rivoluzione francese”. Così Luciano De Crescenzo, nel suo inconfondibile stile, celebra la comparsa sulle nostre tavole del pomodoro. Ovviamente lo scrittore napoletano ha in mente la cucina italiana ed in particolare modo quella partenopea che definisce una “cucina a «luci rosse» per la presenza illuminante sulla nostra mensa di quel meraviglioso prodotto della natura, fatto a forma di lampadina, noto a tutti come il pomodoro sammarzano!


Per un napoletano è quasi impossibile immaginare una cucina priva del colore e del profumo della pummarola (= pomodoro in napoletano ). Io stesso non riuscivo a convincermi, quando lo appresi da ragazzo, che il piatto tradizionale della Napoli antica – la minestra maritata – non contenesse alcuna traccia di pomodoro, come del resto tutte le ricette partenopee antecedenti l’Ottocento.

Matilde Serao, scrittrice napoletana (1856-1927), presa dalla foga creativa delle sue Leggende napoletane, riuscì addirittura a negare l’ovvio attribuendo al mago Chico l’invenzione dei maccheroni con il pomodoro, nel racconto delSegreto del Mago ambientato nella Napoli del 1220, ossia quasi tre secoli prima della scoperta dell’America! Nonostante il grossolano errore della scrittrice è significativo riportare le parole con cui termina la leggenda:

“nella casa dei Cortellari, dentro la stanzuccia del mago, alla notte del sabato, Cicho il mago ritorna a tagliare i suoi maccheroni, [l’angelo] Jovanella di Canzio gira la mestola nella salsa del pomodoro ed il diavolo con una mano gratta il formaggio e con l’altra soffia sotto la caldaia. Ma diabolica o angelica che sia la scoperta di Cicho, essa ha formato la felicità dei napoletani e nulla indica che non continui a farla nei secoli dei secoli.”
  Il pomodoro è una pianta orticola della famiglia delle solanacee (Lycopersicon esculentum). Raggiunge a volte l’altezza di 2 metri e necessita di un sostegno. Le sue foglie sono lunghe e con un lembo profondamente inciso; i fiori si presentano a grappoli e sono distribuiti lungo il fusto e le ramificazioni. Il suo frutto, anch’esso denominato pomodoro, è una bacca rossa di forme e dimensioni diverse a seconda della varietà, con una polpa dal sapore dolce-acidulo ricca di vitamine (A, C, B1, B2, K, P e PP).
  La pianta è originaria del Cile e dell’Ecuador, dove per effetto del clima tropicale offre i suoi frutti tutto l’anno, mentre nelle nostre regioni ha un ciclo annuale limitato all’estate, se coltivata all’aperto.

  Dominatore della gastronomia napoletana e largamente diffuso in tutto il mondo per il suo gusto oltre che per le sue importanti proprietà dietetiche, il pomodoro ha tuttavia raggiunto le cucine europee in tempi relativamente recenti e, sebbene importato già nel Cinquecento, soltanto due secoli dopo è stato impiegato nell’alimentazione.
  La coltivazione della pianta del pomodoro era diffusa già in epoca precolombiana in Messico e Perù, fu poi introdotta in Europa dagli Spagnoli nel XVI secolo, ma non come ortaggio commestibile, bensì come pianta ornamentale, ritenuta addirittura velenosa per il suo alto contenuto di solanina, sostanza considerata a quell’epoca dannosa per l’uomo. Infatti, nel 1544 l’erborista italiano Pietro Matthioli classificò la pianta del pomodoro fra le specie velenose, anche se ammise di aver sentito voci secondo le quali in alcune regioni il suo frutto veniva mangiato fritto nell'olio.
  Piuttosto, al pomodoro venivano attribuiti misteriosi poteri eccitanti ed afrodisiaci e, per tale motivo, veniva impiegato in pozioni e filtri magici dagli alchimisti del ‘500 e del ‘600. Forse ciò aiuta a comprendere anche i nomi che le varie lingue europee attribuirono a questa pianta proveniente dal nuovo mondo: love apple in inglese,pomme d’amour in francese, Libesapfel in tedesco e pomo (o mela) d’oro in italiano, tutte definizioni con un esplicito riferimento all’amore. Va ricordato, per completezza, che altre fonti fanno risalire il nome ad una storpiatura dell’espressione pomo dei Mori, giacché il pomodoro appartiene alla famiglia delle solanacee cui appartiene anche la melanzana, ortaggio a quei tempi preferito da tutto il mondo arabo. Oggi, con l’eccezione dell’italiano, le vecchie espressioni sono state sostituite in tutte le altre lingue da derivazioni dell’originario termine azteco tomatl. Ma, anche in questo caso, il nome è frutto di un errore. La pianta che fu importata in Europa era chiamata dagli Aztechixitomatl, che significa grande tomatl. La tomatl era un’altra pianta, simile al pomodoro, ma più piccola e con i frutti di colore verde-giallo (chiamata oggi Tomatillo ed impiegata nella cucina centro-americana). Gli Spagnoli chiamarono entrambe tomate e ciò diede origine alla confusione.

  Non è ben chiaro come e dove, nell’Europa barocca, il frutto esotico di una pianta ornamentale, accompagnata da un alone di mistero e da una serie di credenze e dicerie popolari, comparisse sulla tavola di qualche coraggioso (oppure affamato) contadino. Infatti, gli stessi indigeni del Perù, i primi coltivatori del pomodoro, non mangiavano i frutti della pianta, usata invece a solo scopo ornamentale e come tale fu conosciuta dagli Europei: nel 1640 la nobiltà di Tolone regalò al cardinale Richelieu, come atto di ossequio, quattro piante di pomodoro, e sempre in Francia era usanza per gli uomini offrire piantine di pomodoro alle dame, come atto d’amor gentile. Così la coltivazione del pomodoro, come pianta ornamentale, dalla Spagna, forse attraverso il Marocco, si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, trovando il clima adatto per il suo sviluppo, soprattutto in Italia, nella regione dell’agro nocerino-sarnese, tra Napoli e Salerno.

  Scarsissima è, inoltre, la documentazione relativa all’uso alimentare: le prime sporadiche segnalazioni di impiego del suo frutto come alimento commestibile, fresco o spremuto e bollito per farne un sugo, si registrano in varie regioni dell’Europa meridionale del XVII secolo. Soltanto alla fine del Settecento la coltivazione a scopo alimentare del pomodoro conobbe un forte impulso in Europa, principalmente in Francia e nell’Italia meridionale. Ma mentre in Francia il pomodoro veniva consumato soltanto alla corte dei re, a Napoli si diffuse rapidamente tra la popolazione, storicamente oppressa dai morsi della fame! Nel 1762 ne furono definite le tecniche di conservazione in seguito agli studi di Lazzaro Spallanzani che, per primo, notò come gli estratti fatti bollire e posti in contenitori chiusi non si alterassero. In seguito, nel 1809, un cuoco parigino, Nicolas Appert, pubblicò l'opera L'art de conserver les substances alimentaires d'origine animale et végétale pour pleusieurs années, dove fra gli altri alimenti era citato anche il pomodoro.
Negli Stati Uniti ed in genere nelle Americhe, da cui proveniva, l’affermazione del pomodoro come ortaggio commestibile trovò invece molte più difficoltà per la diffusa convinzione popolare dei suoi poteri tossici. Tuttavia, nel 1820 il colonnello statunitense Robert Gibbon Johnson decise di mangiare, provocatoriamente, davanti ad una folla prevenuta e sorpresa, un pomodoro senza per questo morirne. Addirittura, si narra, che alcuni avversari politici del Presidente americano Abrahm Lincoln convinsero il cuoco della Casa bianca a preparare una pietanza a base di pomodoro per avvelenarlo. Ovviamente, dopo la cena, la congiura fu scoperta, anzi l’episodio contribuì a rendere popolare il pomodoro, poiché Lincoln ne divenne un appassionato consumatore.

  Ma è solo nell’Ottocento che il pomodoro fu inserito nei primi trattati gastronomici europei, come nell’edizione del 1819 delCuoco Galante a firma del grande cuoco napoletano di corte Vincenzo Corrado, dove sono descritte molte ricette con pomodori farciti e poi fritti:

“Per servirli bisogna prima rotolarli su le braci o, per poco, metterli nell'acqua bollente per toglierli la pelle. Se li tolgono i semi o dividendoli per metà, o pure facendoli una buca.” (da Il cuoco galante, prima ed., Napoli 1773)

  Come risulta anche da altre fonti Vincenzo Corrado usava il pomodoro nelle sue ricette già all’epoca della prima edizione del libro, ma senza mai abbinarlo alla pasta né tantomeno alla pizza!
  Finalmente nel 1839, il napoletano Don Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino, codificando quello che presumibilmente era diventata nel popolino un’usanza alquanto diffusa, nella seconda edizione della sua Cucina Teorico Pratica propose di condire la pasta col pomodoro ed illustrò la prima ricetta del ragù.
  E, citando nuovamente la Serao, ma questa volta senza anacronismi, la geniale intuizione di abbinare il sugo di pomodoro alla pasta e poi alla pizza ha reso felici e continuerà a rendere felici non solo generazioni di napoletani, ma tutti coloro che amano ed apprezzano la nostra cucina! (g.b.)

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